C'è un museo a Roma che ho trovato praticamente deserto ogni volta che vi sono stata, sebbene abbia sede in una piazza ben nota e trafficata come Piazza Marconi, nel quartiere EUR, e sia ubicato in un edificio imponente di ben 7000 mq di superficie: motivo per cui inizio a domandarmi quanto sia conosciuto.
E' il Museo delle Arti e Tradizioni Popolari.
Il fascino di questo museo è racchiuso sia nella sua lunga storia, simbolo anche della complessa evoluzione del concetto di tradizione popolare nel trascorrere del tempo; sia, appunto, nella particolarità di ciò che vi è esposto: non, semplicemente, oggetti, materiali, ma l'eredità che c'è stata tramandata dai secoli scorsi. Per questo si respira un'aria molto particolare, che ha quasi del sacro, e che mi porta, ogni volta che varco l'entrata, a voler camminare quasi in punta di piedi.
LA FONDAZIONE DEL MUSEO
LA FONDAZIONE DEL MUSEO
L'idea iniziale della fondazione di un Museo che raccogliesse,
catalogasse e tutelasse oggetti della vita popolare, era già stata avvertita
dalla metà del XIX secolo, prima in Europa, e poi in Italia con Luigi Pigorini.
Quest'ultimo, già direttore del Regio Museo Preistorico Etnografico
situato nella sede del Collegio Romano,
aveva espresso la necessità di allestire una nuova sezione del Museo che avrebbe dovuto “comprendere
ciò
che hanno tuttora di speciale
le nostre popolazioni campagnole nelle industrie, negli utensili ed ornamenti,
nelle fogge degli abiti",
ma la sua richiesta non venne accolta.
La svolta avvenne nel 1906, quando l'etnologo Lamberto Loria aprì a Firenze un Museo di
Etnografia che comprendeva anche una larga parte di oggetti popolari: la
collezione fu ritenuta così interessante che Ferdinando Martini, vicepresidente
del Comitato per l'Esposizione Internazionale che si sarebbe tenuta nel 1911 a
Roma, Firenze e Torino, chiese a Loria di trasformare il museo in una mostra da
allestire per il grande evento. A Roma i festeggiamenti si
basarono, appunto, in particolar modo sulla Mostra Etnografica e sulla Mostra
Regionale: "Asse portante dell’intera esposizione era una sorta di viaggio
attraverso l’Italia realizzato attraverso quattordici padiglioni
regionali, edifici che riproducevano gli elementi dei modelli classici di
maggiore bellezza della regione di rappresentanza, circondati da una
quarantina di “gruppi etnografici”, veri e propri quadri viventi,
dove ad esempio Napoli era stata ricostruita attraverso uno spaccato del vecchio
quartiere di Santa Lucia e la Sardegna attraverso i nuraghi e le case del
Campidano".
La mostra, nelle intenzioni di Loria, sarebbe sfociata nella realizzazione del nuovo museo etnografico.
Tuttavia una serie di eventi, tra cui la morte dello stesso etnologo nel 1913, e le due guerre mondiali, ne impedirono l'inaugurazione nell'attuale sede fino al 20 aprile del 1956: "L’esposizione,
che occupava il primo piano dell’edificio, situato nel monumentale palazzo
dell’allora Piazza Italia, si prefiggeva di illustrare sinteticamente in dieci
sezioni gli usi, i costumi, le credenze, le manifestazioni e gli aspetti più
significativi e caratteristici delle tradizioni popolari italiane".
LA STRUTTURA DEL MUSEO
All'interno del Museo delle Arti e Tradizioni Popolari la storia dei nostri antenati è scritta dietro le numerose teche, e si riesce quasi ad immaginare di rivivere nella metà - fine del XIX /inizio XX secolo.
La struttura è suddivisa in tre sezioni:
- La terra e le risorse, che espone gli strumenti del lavoro agricolo, pastorale e artigianale: dai vari sistemi di trasporto, agli strumenti per coltivare come l'aratro, agli oggetti in legno artigianale.
- Vivere e abitare: con gli oggetti legati alle varie fasi della vita, dall'infanzia (per esempio con culle e giocattoli) al fidanzamento e al matrimonio (con i bellissimi corredi conservati in cassoni nuziali intagliati), fino ai riti legati al momento della morte.
- Riti, feste e cerimonie: è la parte che preferisco, con i vestiti tradizionali delle feste sacre e profane, con le suddette macchine processionali, con gli strumenti musicali o gli oggetti sonori come i campanacci degli animali (legati anche essi, almeno in parte, a credenze rituali), con i modelli dei pupi siciliani e romani (di questi ultimi il museo custodisce una rara collezione) per gli spettacoli teatrali:
Teatro di figura: soldato saraceno |
Mentre si visita il museo, ogni spazio espositivo offre la possibilità di respirare il passato del nostro Paese, ed è a dir poco stupefacente girare le varie sale e avvicinarsi ad osservare gli oggetti di un tempo, dagli strumenti per il lavoro, ai suppellettili e agli utensili della vita quotidiana, fino ai costumi, ai carri, alle marionette utilizzati durante le feste e gli spettacoli, ai giocattoli dei bambini, o ancora alle insegne utilizzate dai vari negozi e dalle varie botteghe.
Da non perdere gli stupendi modelli delle macchine processionali delle varie feste tradizionali italiane: dalla famosa Macchina di S. Rosa (la cui festa si celebra a Viterbo il 3 settembre) ai Gigli di Nola (21 e 22 giugno) o ai ceri di Gubbio (15 maggio), e molte altre
Modello del Cereo di Sant'Agata |
Modello della Macchina di Santa Rosa |
Modello dei Gigli di Nola |
Indubbiamente, girare per le sale non è solo sicuramente istruttivo, ma anche divertente! Ad esempio si ha la possibilità di vedere quali erano le insegne delle varie botteghe artigiane o gli oggetti delle credenze superstiziose...
Da vedere c'è veramente molto, anche perchè dal 2008 le competenze di valorizzazione del Museo sono state assorbite dall'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia, la cui missione è
finalizzata alla salvaguardia e alla valorizzazione del patrimonio culturale, materiale e immateriale, e alla promozione di iniziative volte a tutelare i settori fortemente legati all’identità collettiva e al senso di appartenenza dei vari gruppi sociali presenti sul territorio.
Per ogni ulteriore informazione e curiosità, il sito ufficiale è il seguente: http://www.popolari.arti.beniculturali.it/